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Immagine del redattoreCivitArs City

la via crucis di Stefano

E' durissimo, una vera via crucis, una visione che si incide nello spettatore come un incubo, Sulla mia pelle, il film di Alessio Cremonini sulla tragica vicenda di Stefano Cucchi, il 31enne romano morto una settimana dopo essere stato arrestato con l'accusa di spaccio a Tor Pignattara. Morto nel reparto protetto - l'ala carceraria - dell'Ospedale Sandro Pertini, in seguito alle percosse ricevute. Nell'indifferenza e nel silenzio dei tanti - ben 140 persone - con cui venne a contatto in quella settimana.


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Il regista con la sceneggiatrice Lisa Nur Sultan, sceglie di non mostrare il pestaggio. Stefano viene condotto in una stanza del commissariato da due carabinieri in borghese e uno in divisa e quando ne esce ha il volto tumefatto, due vertebre fratturate, un enorme livido sui reni, cammina curvo e sta in piedi a fatica, non riesce neanche a parlare bene. Epilettico, ex eroinomane in terapia col metadone, il giovane subisce una impressionante sequenza di omissioni e omertà: medici, infermieri e persino il magistrato che conduce l'udienza preliminare - la registrazione di quell'udienza si può ascoltare sui titoli di coda e fa rabbrividire - non vedono o non vogliono vedere la gravità delle sue condizioni. Ma allo stesso tempo il film, che ha la sua forza nella mimetica e dolente interpretazione di Alessandro Borghi - 18 chili in meno e una ricerca sulla postura che ha dell'incredibile - ci mostra il comportamento reticente di Stefano e la passività della sua famiglia (Max Tortora e Milvia Marigliano sono i due genitori, Jasmine Trinca la sorella Ilaria, destinata poi a battersi come una leonessa per ottenere giustizia), una famiglia angosciata ma incapace di intervenire con durezza per difenderlo e smarrita nei meandri della burocrazia, forse anche non pienamente consapevole dei propri diritti.


"Il film nasce dallo studio accurato di verbali e testimonianze fatto insieme alla sceneggiatrice e anche con l'ausilio dell'avvocato Fabio Anselmo - spiega il 45enne Cremonini, già autore di Borders sulla guerra in Siria - volevamo capire chi aveva interesse a portare acqua al suo mulino. Però abbiamo raccontato senza giudicare". Del resto il processo è ancora in corso. Mentre il personale medico e paramedico è stato assolto, come pure la polizia penitenziaria, nuove testimonianze hanno fatto riaprire il caso sulle responsabilità di cinque carabinieri.


Per Ilaria Cucchi, che dedica il film a Matteo Salvini e a tutti coloro che si augurano che di questa storia e di storie simili non si parli più, "in questo momento il film è quanto mai importante perché oggi si cerca di convincere le persone che il nostro benessere è legato alla negazione dei diritti degli altri". E quando ha visto Sulla mia pelle ha detto a Borghi: "Non so come hai fatto, ma sei identico a lui".


Diritti negati, appunto, come quell'avvocato difensore mai chiamato e sostituito da un legale d'ufficio. E diritti non rivendicati dallo stesso Cucchi, recalcitrante anche verso le cure, sfiduciato nei confronti delle istituzioni. "Quell'omertà deriva da una forma mentis tipica della borgata - dice Borghi - perché non si fa la spia. Magari Stefano pensava di parlare quando sarebbe uscito dal carcere, senza capire che stava male da morire". E Cremonini aggiunge: "Per spiegare il suo comportamento va considerato lo shock e la vergogna di essere stato pestato. E poi la paura che le forze dell'ordine l'avrebbero perseguitato per sempre se avesse parlato".


Jasmine Trinca, con indosso un paio di occhiali e pochi tratti della voce riesce a trasformarsi nella sorella di Cucchi in modo perfetto, per lei l'incontro con Ilaria è avvenuto tempo prima, in occasione di un memorial di Stefano in cui era andata a leggere delle pagine dell'Antigone. "Questa è una vicenda privata ma paradigmatica, perché rispecchia la storia di mille. Per me Ilaria non era un personaggio da interpretare e non ci siamo mai parlate in merito al film. Ma la commozione è stata naturale, anche per il rapporto di complicità che ho con Alessandro Borghi".


Ma perché nessuno ha voluto aiutare Cucchi? "Il problema - risponde Borghi - non è la divisa che porti ma l'essere umano che c'è dietro la divisa. Se sei un drogato non ti aiuto, è una presa di posizione e questo significa che tutto ciò può accadere di nuovo, del resto quando Stefano muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l'incredibile quota di 176. Negli ultimi 5-6 anni ci sono stati circa 800 suicidi in carcere. Mi sembra evidente che il nostro sistema carcerario faccia acqua da tutte le parti. E credo per questo che sia molto difficile lavorare in contesti che ospitano il doppio dei detenuti che potrebbero contenere. Ci sono persone che lavorano in condizioni disastrose".


Per Jasmine Trinca, "questa è una storia che chiama alla responsabilità proprio per l'irresponsabilità che contiene. Nessuno ha avuto uno sguardo pietoso e umano verso questo ragazzo". Ma anche dopo. L'Arma dei Carabinieri non ha voluto aiutare la produzione e i permessi per girare sul portone di Regina Coeli sono stati negati, tutto è stato ricostruito in teatro, dai blindati alle caserme.

A produrre Lucky Red con CinemaUndici per Netflix che manderà in onda in 190 paesi il 12 settembre, in contemporanea con l'uscita in sala: per ora una trentina hanno aderito, altri esercenti attendono di vedere il film, altri ancora si sono opposti alla scelta distributiva inedita e considerata pericolosa per il sistema sala.  


Borghi si augura che l'uscita del film produca un dibattito, Trinca considera l'opera "un atto dovuto". "Si parla tutti i giorni di un miliardo di cose senza senso, ma spero che non si esaurisca tutto in un pomeriggio di battute sui social perché sarebbe grave". Lo considerate un omicidio di Stato? "Se lo Stato non prende una posizione, lo è. Certo, non è morto cadendo dalle scale", dicono i due attori.

  • Cristiana Paternò (CineCittà News)

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