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2 INTERVISTE / 2 mondi differenti e una visione di futuro della pena.

Gherardo Colombo e Pierdonato Zito parlano da due punti di osservazione differenti. Conoscono a memoria l'Art. 27 della Costituzione:


La responsabilità penale è personale.

................

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.


INTERVISTA A GHERARDO COLOMBO


Le questioni sul tappeto sono due: l’ergastolo ostativo e la recentissima sentenza della Consulta. Compongono una specie di distico della giustizia sul fine pena. Hanno scatenato accese polemiche che ricordano quelle sul pentitismo.


L’ergastolo è una pena detentiva a carattere perpetuo, inflitta a chi ha commesso un delitto ed equivale alla reclusione a vita, il cosiddetto fine pena mai. Una sentenza della Corte Europea dei diritti umani nel 2013 ha stabilito che esso vìola i diritti umani nel caso la scarcerazione sia espressamente proibita, oppure non sia previsto nell’ordinamento che il condannato possa chiedere a un organismo indipendente dal governo una revisione della sentenza o un alleggerimento di pena. Il che significa un superamento dell’ergastolo, lasciare un varco, una prospettiva, nel caso si verifichi un cambiamento.


In Italia con l’ergastolo ostativo la possibilità di accedere ai benefici penitenziari è stata fino adesso legata alla sola ipotesi di collaborazione con la giustizia, una scelta del reo che spesso, per varie ragioni, in realtà non era tale. Lo Stato, in un momento di necessità e urgenza, aveva deciso di non esercitare un proprio potere e dovere, cioè infliggere una pena in linea con i principi della Costituzione che si riferiscono alla rieducazione e risocializzazione del condannato.


Ma ora è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che, pur essendo in accordo con quanto stabilito anni fa dalla Corte Europea dei diritti umani, fa discutere per le sue possibili conseguenze.Ne abbiamo parlato con Gherardo Colombo, ex magistrato del pool di Mani Pulite, che ha condotto inchieste celebri, come la scoperta della Loggia P2, l’omicidio dell’avvocato Ambrosoli, i fondi neri dell’Iri. Dopo aver lasciato la magistratura, ha fondato nel 2010 l’associazione “Sulleregole”, che si occupa di riflessione pubblica sulla giustizia e di educazione alla legalità. Perché se è vero che le sentenze non si commentano e che bisogna comunque attendere la pubblicazione delle motivazioni, è anche vero che sulla giustizia si può (e si deve) ragionare.


Lei dottor Colombo che ne pensa, ergastolo ostativo sì o no?


In primo luogo occorre ricordare che ci sono norme sovraordinate e norme sottordinate: la Costituzione sta in alto, tutto il resto viene dopo. Prima c’è la nostra Carta, poi viene l’ordinamento giudiziario. L’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario [1] afferma che alle persone che hanno commesso i reati ivi elencati, tra cui quelli di mafia e di terrorismo, non possono essere applicate misure premiali o alternative alla detenzione, se non avessero collaborato efficacemente. Al contrario di tutti gli altri detenuti, dunque, c’era una preclusione, mentre ora si è uniformata la previsione legislativa. Sta al giudice, anche per loro, valutare se abbiano diritto o meno alla liberazione condizionale o alle altre misure.


Quindi al centro, oltre al detenuto e ai suoi diritti, c’è anche il giudice.


C’era una preclusione assoluta rivolta al giudice di valutare una persona che ha commesso questi ed altri gravi reati, che era in contrasto con la Costituzione. Quando più avanti potremo leggere le motivazioni della sentenza della Corte vedremo le ragioni che reggono la sentenza. Secondo la mia opinione, l’articolo 4 bis è in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, oltre che con l’articolo 3. Restiamo al 27 che dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.


La decisione della Consulta riguarda soltanto la possibilità (certo non il dovere) del giudice di concedere i permessi premio: è lui che decide; chi non ha fatto un percorso riabilitativo, non risulta che abbia reciso i vincoli associativi, si può prevedere che possa riallacciarli, cioè chi è ancora pericoloso non può averne. Senza questa precisazione si equivoca. Anche le affermazioni di alcuni miei ex colleghi fanno pensare che questa decisione della Corte Costituzionale renda automatica la concessione di questi benefici. Invece non è così, è il contrario.


Ci spieghi meglio.


Prima era automatico il divieto di concedere questi benefici a coloro che – essendo condannati per quei reati – non avessero collaborato. Adesso, invece, non è più automatico. È divenuta una circostanza che va valutata dal giudice, come succede per tutti gli altri reati che non rientrino nel 4 bis. E’ stato fatto un percorso che rende concedibili i permessi premio. La regola diventa uguale per tutti i condannati, sia per quelli che collaborano, che per quelli che non collaborano.


Alcuni sostengono che, con questa decisione, si indebolisce la normativa antimafia. Che da Cosa Nostra non si esce a proprio piacimento.


Facciamo l’esempio di un ragazzo che a vent’anni ha commesso un solo reato di mafia e ha vissuto in carcere fino a 50. Sono passati trent’anni, si possono sciogliere anche i matrimoni ben prima che passino trent’anni. E poi c’è partecipazione e partecipazione alla mafia: non tutto è un ‘patto di sangue’, e anche i patti di sangue si possono sciogliere senza per questo collaborare. Per alcuni succede. E d’altra parte chi garantisce che chi collabora sia davvero ‘uscito’ dalla mafia? Succede nei fatti che chi collabora a volte rimane mafioso o ricostituisce i legami con la mafia. Bisogna guardare la vicenda personale di ognuno, seguire il suo percorso rieducativo.


Cosa ne dobbiamo concludere?


Certe affermazioni apodittiche vanno evitate. La collaborazione può essere strumentalizzata per l’esistenza di contrasti e conflitti interni alla mafia (ci sono state vere e proprie guerre intestine, con centinaia di morti, per dire). In definitiva, l’articolo 4 bis era incostituzionale. E la sentenza della Consulta lo ha espulso dall’ordinamento giuridico, per quel che riguarda i premessi premio, per questo motivo.

Spero che altrettanto succeda, presto, per l’ergastolo ostativo (che, mi pare di poter dire, implicitamente subisce la stessa valutazione del divieto dei permessi premio).


INTERVISTA A PIERDONATO ZITO


Nato a Montescaglioso (MT) il 03/05/1959 è in carcere ininterrottamente dal 1995, condannato alla pena dell’ergastolo ostativo. La stampa si è occupato di lui negli anni ’90, accusato di essere il capo promotore di un clan di stampo mafioso operante nella provincia di Matera durante gli anni di piombo che coinvolse l’hinterland materano agli inizi di quegli anni. Tra carcerazioni pregresse e quella in corso, in totale ha scontato 30 anni di carcere, di cui 8 in regime di 41 bis. Dal mese di febbraio 2019 ha cominciato a beneficiare di permessi premio. Sposato, è padre di tre figli. Dopo aver girato numerosi istituti di pena è attualmente detenuto nel Centro Penitenziario di Secondigliano a Napoli, dove continua a scontare la sua pena. Qui si è diplomato nell’a.s. 2017/18 presso il Liceo delle Scienze Umane “L. Bassi” di Sant’Antimo (NA) da privatista. Attualmente è iscritto presso l’Università “Federico II” di Napoli alla facoltà di Sociologia.

Trenta anni fa eri una persona libera, quale era la tua idea di “Diritto”?


Che il Diritto fosse un insieme di norme che regolano la vita dei membri di una comunità di riferimento, mi era già chiaro allora. Se la domanda intende, invece, evidenziare che la conoscenza o meno del concetto fosse causa di devianza sociale, posso dire che non bastava e non era sufficiente sapere questo, per non infrangere le cosiddette regole sociali. Se così fosse sarebbe fin troppo facile e semplice risolvere il problema della devianza sociale. Il discorso, ritengo che sia molto più complesso e articolato. Le domande postemi, meritano risposte profonde, complesse, per le quali sono stati effettuati studi, ricerche ecc. Il rischio quindi è di consegnarmi ad una dimensione di superficialità e forse anche di banalità, quando si prescinde da un giudizio approfondito sugli argomenti (e quindi ci sottraiamo ad una valutazione delle conseguenze del nostro pensare e del nostro agire), quando ci uniformiamo nell’assumere decisioni a opinioni correnti, cliché, slogan, stereotipi, preconcetti, pregiudizi e sottovalutazione del problema, in questo caso la devianza, che invece è molto più articolato, complesso e profondo.


Qual era il tuo pensiero sulla LIBERTA’.


Conoscevo molto bene anche questa parola, questo elemento fondamentale, irrinunciabile che accomuna tutti gli esseri umani, la condizione di poter scegliere liberamente senza costrizioni sul piano politico, economico, sociale, lavorativo, morale; ma non bastava come ho scritto poc’anzi questo ad arginare, a contenere le proprie giovanili trasgressioni.


Oggi dopo molti anni di reclusione e in regime di 41 bis, cosa pensi del Diritto?


Gli anni di reclusione non modificano nella persona la sua visione della vita in automatico. Non è un automatismo. Non è il solo tempo a cambiarci, ma come noi utilizziamo il tempo detentivo. A modificare la persona detenuta sarà invece una precisa volontà di ampliare la propria visione del mondo e la propria posizione rispetto al mondo, di emanciparsi, di crescere, di conquistare nuovi territori di conoscenze, di liberarsi dalla tristezza dei propri limiti. La concezione del diritto per quanto mi riguarda oggi, è chiaro che si è modificata e non è più quella di un tempo. Tutti vorremmo vivere in uno stato di diritto e non certo come spiega bene Hobbes, in uno stato di natura dove sono tutti contro tutti, nel senso che tutti competono con tutti, (bellum omnium contra omnes). Se lasciassimo fare alla nostra natura avremmo la guerra di tutti contro tutti, dove ogni singolo uomo diventa lupo per l’altro uomo (Homo homini lupus) Vi è quindi la necessità di superare lo stato primitivo di tutti contro tutti. Quindi l’accettazione consapevole delle norme di convivenza civile. Secondo Hobbes, infatti, nello stato di natura non esistono né norme, né valori, né criteri certi di condotta: la lotta per la sopravvivenza è l’unico movente che guida le azioni degli individui, minacciando in questo modo l’esistenza di ognuno. In tale situazione gli uomini non potrebbero resistere a lungo, o comunque sarebbero condannati a vivere nel continuo terrore della morte. Ecco che si rende necessario l’approdo a una nuova condizione, quella sociale in cui la sottomissione cosciente a tutte le norme, garantisce a ciascuno la possibilità di condurre un’esistenza tranquilla e sicura. Hobbes aggiunge ancora che non tutti sono disposti a sottostare a queste norme, da qui per Hobbes la necessità dell’uso di una forza coercitiva.


Oggi, cosa pensi della LIBERTA’?


È il bene, in assoluto, più importante dopo la vita. Un bene preziosissimo che lo si può perdere a volte senza nemmeno rendersene conto. Più che una risposta sociologica, mi piace invece rispondere per quello che è il mio sentire. Quando nasce, l’individuo vive sempre in un contesto sociale che lo vincola, egli cioè è al centro di cerchi di controllo sociale. La vera libertà per me è quella interiore, che prescinde il luogo dove uno si trova, che non tiene conto dell’aspetto fisico, esteriore, ma è una dimensione appunto interiore, della propria anima. Questa dimensione è possibile raggiungerla, secondo me, con la cultura, che ti fa crescere; quindi con la conoscenza e con l’autoconoscenza. Unica forma di libertà per me è quella di avere gli strumenti per fare scelte edotte. Essere liberi, vuol dire essere in grado di fare delle scelte giuste, consapevoli durante la propria vita. Se non hai cultura, le scelte consapevoli non le puoi fare. In più come sappiamo la mancanza di formazione, l’ignoranza, il non conoscere, spalanca le porte all’errore. Questa oggi è per me la forma di libertà che ritengo più importante, la cultura, che ti libera dalle “catene mentali”, abbatte quei muri interiori del pregiudizio. Studia per te medesimo se non vuoi esser schiavo di nessuno, (Catone).


Il sistema carcerario l’hai vissuto appieno, fino in fondo, sia nel male ma, a giudicare dal tuo percorso, anche nel bene. Qual è il tuo parere sulla GIUSTIZIA in Italia?


La giustizia viene amministrata dagli esseri umani e in quanto tale è passibile di errori, non può essere perfetta. Molte cose non vanno, altre invece sono virtuose. Tuttavia viviamo in uno Stato Democratico, in uno Stato di Diritto. Abbiamo una delle più belle Costituzioni al mondo dove tutti i diritti fondamentali sono tutelati. In quell’alveo dobbiamo muoverci, su quei binari costituzionali il legislatore deve legiferare.


In tanti anni di detenzione hai intrapreso un percorso virtuoso, Come è stato possibile?


L’esperienza detentiva, mi ha posto nella condizione di scavare dentro me stesso, come una sorta di minatore dell’anima. Non è il carcere a cambiarti che invece può anche cristallizzarti nel tempo; ciò che ti può cambiare è in primis la tua volontà di rialzarti lì dove sei caduto, e in secundis le persone che in carcere incontri, che possono cambiarti la vita.


Cosa pensi dell’avvenire dei Diritti e della Libertà?


I cardini che ci mantengono uniti, quello che ci lega nell’Unione europea sono i Diritti dell’Uomo e lo Stato di Diritto, occorre che lo Stato democratico sia sempre molto attento ai terribili fenomeni del nazionalismo, dell’odio razziale, del fanatismo religioso, dopo i regimi totalitaristici del passato, le solenni proclamazioni sui diritti umani (1948). Ci siamo ritrovati nuovamente a confrontarci con le violazioni dei diritti umani, su larga scala. È sufficiente ricordare le varie pulizie etniche, lotte di religioni nella ex Iugoslavia e le attuali guerre in diverse parti del mondo. Quel “mai più”, con cui l’uomo è solito accompagnare solennemente le condanne delle violazioni dei diritti umani e offese alla dignità, viene costantemente violato. Da qui la necessità di tenere alta l’attenzione.


Hai scritto un libro sulla figura di tuo padre. Perché? Da dove è scaturito?


L’idea di scrivere Il libro nasce nell’anno 2004 mentre ero sottoposto al regime del 41 bis, presso il carcere di Roma Rebibbia. Privato di tutto, se non di pochissime cose come carta e penna, iniziai una scrittura autobiografica. L’età adulta è tempo di bilanci e di integrazioni fra le diverse componenti dell’Io, il quale non è monolitico, ma prismatico, sfaccettato. Misi in contatto tra loro le diverse parti di me stesso. Quel raccontarmi fu una forma di prendermi cura di me medesimo, una forma d’interrogarmi sul significato della mia vita e delle mie scelte. Fu un modo di comprendermi, di ritrovarmi anche spiritualmente. La scrittura, significò sviluppare capacità di ragionamento, di riflessione molto importanti, che mi condussero ad una maggiore consapevolezza della mia identità. In quelle durissime fasi della mia esistenza, dove la mia vita sembrava essere stata sequestrata dal buio, dall’abisso, la scrittura, rappresentò un corrimano a cui la mia anima si aggrappò. Mio padre come tutti i padri sognava il meglio per me, che io diventassi un medico. Il libro fu un modo per rincontrarlo, per dialogare ancora con lui. Il mio cuore sentiva la necessità di strizzare fuori le tossine del dolore. Scrivevo per non morire.


La scrittura, assunse un potere lenitivo sulle mie ferite passate e presenti, un potere curativo, quasi un vera e propria Medicina Doloris. Fu un momento di autoconoscenza, che non significa acquisire nuove nozioni, ma riflettere sul senso della vita. Desideravo inoltre raccontare ai miei figli la vita del loro nonno paterno che non avevano conosciuto, sentivo questo desiderio di tramandare.

Non nasce per scopi utilitaristici, economici e non nasce per essere pubblicato, lo diventa successivamente, dopo che molti volontari, docenti, avvocati, l’avevano letto e mi avevano sempre suggerito di pubblicarlo. Solo qui a Secondigliano dopo aver conosciuto il Prof. Belardo (il mio tutor che si prende cura di me, come volontario e mi segue negli studi) ho deciso di renderlo pubblico, ricevendo il suo prezioso aiuto nella stesura definitiva.


Mio padre, ha tenuto durante tutto l’arco della sua vita, un comportamento etico e morale di altissimo valore. Avevo questa per me bellissima storia, pedagogicamente valida, l’ho semplicemente scritta, con i miei modesti strumenti culturali senza nessuna velleità di scrittore. In un tempo dove la figura paterna sembra aver subito una “evaporazione”, io come quegli uomini di belle speranze, (così come ho scritto nel libro), lancio in mare una bottiglia con dentro un messaggio, che contiene un exemplum, nel quale, non è il padre a spiegare il senso della vita, ma è il padre che mostra, attraverso la sua vita, che la vita può avere senso.


Tanti ragazzi, per differenti ragioni, sono allo sbando. Hai un consiglio, una raccomandazione, un appello…affinché non cadano nella trappola della illegalità?


Questa domanda introduce un tema molto a cuore per il sottoscritto, ovvero il tema del valore della testimonianza. Innanzitutto il raccontarsi del detenuto, è un racconto auto responsabilizzante, che ha valore di prevenzione. Sono per la cultura della prevenzione e non per la cultura dell’emergenza. Il valore e l’aspetto pedagogicamente importante non consiste nell’accertamento della verità processuale del reato di cui il detenuto è stato accusato, non è la sede. Quello lo si fa in un processo e ci sono i magistrati deputati a fare questo. Ciò che è invece pedagogicamente importante è il processo decisionale per il quale si è arrivati a commettere il reato, cioè quello che porta a decidere di commettere un illecito.


Quello che di educativo è importante è proprio capire come si può arrivare a commettere reati, a fare disastri, e perdere la propria libertà. La testimonianza di un autore di reato, ha un senso, perché solo lui può raccontare come si arriva a fare del male. Chi partecipa a questi incontri, spesso con scolaresche, sono persone consapevoli, e quello che raccontano, lo raccontano per fare prevenzione, con senso critico, servono questi incontri a creare anticorpi alla violenza. Le scolaresche dovrebbero entrare di più in carcere ed incontrare i detenuti, così come avviene da anni ad esempio nel carcere di Padova, servirebbe a costruire una coscienza, un maggiore senso di responsabilità, proprio conoscendo le storie di chi per un motivo, o per un altro, sono finiti in prigione.

I ragazzi vanno ascoltati. Hanno bisogno di punti di riferimenti credibili, di principi e valori per cui vivere la vita, in cui credere, più che dell’ultimo tipo di telefonino. Poi, ancora, non basta avere principi e valori, occorre avere la forza per battersi per tutto questo.

Hanno bisogno di maestri di vita, di esempi, che valgono più di un trattato di sociologia, più di una grande lezione universitaria. Mio padre, ad esempio, per me, rappresenta un modello insuperabile, la mia fortezza spirituale.


Il tuo libro, al di là del valore sentimentale e simbolico è un oggetto sul mercato, quindi ha un valore economico, cosa farai con il ricavato?


Desidero devolvere il ricavato, per parte che mi spetta, in beneficenza al reparto di Onco Ematologia Pediatrica del Policlinico di Bari dove uno dei miei figli era stato ricoverato.


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NOTE ALLE INTERVISTE

[1] Dispositivo dell’articolo 4 bis Legge sull’ordinamento penitenziario

1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58 ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 416 bis e 416 ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma, 601602609 octies e 630 del codice penale, all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni.


1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale.

1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575600 bis, secondo e terzo comma, 600 ter, terzo comma, 600 quinquies628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all’articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all’articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all’articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 del medesimo codice, e all’articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609 bis609 quater e 609 octies del codice penale e dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.


1-quater. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 600 bis600 ter600 quater600 quinquies609 bis609 ter609 quater609 quinquies609 octies e 609 undecies del codice penale solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall’articolo 609 bis del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata.

1-quinquies. Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 600 bis600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater 1600 quinquies609 quater609 quinquies e 609 undecies del codice penale, nonché agli articoli 609 bis e 609 octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’articolo 13 bis della presente legge.


2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.


3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.

3-bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.


da "MicroMega online, 25 ottobre 2019"

intervista a Gherardo Colombo di Rossella Guadagnini


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